IL PORTO DELLE NEBBIE
(Le quai des brumes)
-
È perché la gente si ama?
- No, la gente non si ama. Non ne ha il
tempo.
Porto di Le
Havre.
Appuntamento col tempo e con il destino. Luogo che evoca sensazioni a
fior di pelle. I ricordi aspettano solo un rifugio, dove passar la notte e attendere
che il sole si porti via gli spettri.
Il sole visto come luce accecante che
aiuta a nascondere ciò che la notte e la nebbia invece tendono a rivelare. Come
a dire: “C’è bisogno dell’oscurità per vedere meglio e per muoversi nell’ombra
dell’animo umano”.
Il porto delle nebbie
è un posto dove passare questa notte dell’anima. Un luogo dove nascondersi e
aspettare che l’oscurità infernale trascorra presto e si porti via le ultime
ore d’angoscia. Il porto delle nebbie
è un’attesa per un passaggio verso un nuovo mondo; è il crocevia per una nuova
vita. Speranza affidata a una nave che può creare distanza tra il vuoto che si
è creato tra la personalità ferita e il cuore che non sa reggere più il peso
dell’orrore vissuto. E così è l’uomo con la divisa che appare nella notte. Il
disertore Jean ha visto in faccia la morte e il sangue. Ne ha provato disgusto
ed è scappato dalla guerra. Pur non parlandone mai, comunica questa nausea con
il suo vagare, con la sua divisa malandata e sgualcita, con il suo sguardo
spento, privo di qualsiasi emozione.
Melodramma
dalle tinte grigie e in bianco e nero, interamente avvolto nella nebbia,
evocatrice di mostri interiori e angosce che sembrano aspettare silenziose in
riva a un mare che avvolge ogni cosa. Il porto
delle nebbie è lo spettacolare film di Marcel Carné, scritto dal poeta
Jacques Prévert, costruito su un romanzo di Pierre Mac Orlan, Le Quai des Brumes. Le immagini del film
sembrano aprire fin dall’inizio, una finestra sull’inconscio dell’uomo. I
personaggi, già vestiti di profonda tristezza, velati di malinconia, sembrano
accogliere nei loro gesti, tra gli sguardi appannati di fronte agli eventi, il
tragico destino che li aspetta.
Primo film della collaborazione Carné-Prevert,
s’inserisce in quel filone francese che è il realismo poetico (una corrente
artistico-letteraria che abbraccia un ventennio, dagli anni trenta ai
cinquanta). Film a incastri, dalla struttura narrativa del protagonista
solitario, l’eroe vittima di un passato crudele che, come un peso egli trascina
a fatica e che si scontra con dialoghi che rappresentano un destino travestito
da poesia. Ogni parola sembra essere misurata per regalare emozioni che hanno
voci che risuonano nel profondo, dove non si ha il coraggio di arrivare
consapevolmente. L’arte traghetta il sacro, lo trasporta con un semplice invito
a guardare meglio dietro le ombre.
“Se io vedo un
uomo che nuota, dipingo un annegato!”
Dice il pittore
che di lì a poco, donerà i suoi vestiti borghesi al soldato annichilito dalla
fuga e da quel mondo in cui non si riconosce più.
E il soldato
Jean avrà la sorte d’indossare quegli abiti per un giorno e una notte e proverà
davvero a ricominciare la sua vita, vestendo i panni di un’altra maschera che
però non gli potrà appartenere fino in fondo.
Il sacrificio è
dietro l’angolo. Lo aspetta.
Quasi come se
solo l’atto consapevole di abbandonare le sue spoglie sulla banchina di un
porto, potrà dargli davvero l’occasione per un cambiamento rappresentato dal
viaggio verso il sacro. Avrà il tempo però, di conoscere cosa sia la speranza.
Conoscerà l’amore di una nuova passione che gli darà la forza di abbandonare
tutto.
Fa niente che la morte arriverà all’improvviso e alle spalle, come una
cattiva consigliera. Il gioco del porto
delle nebbie è finito, si è rivelato come in uno specchio dentro uno
specchio, dove i riflessi fanno parte di un inganno che non ha più importanza svelare.
Il soldato Jean è già oltre, in viaggio verso una nuova realtà,
mentre nel teatro delle ombre avvolte dalla nebbia, nuovi personaggi si
affollano, piangono, gridano e si muovono, mentre il porto riprende vita e le
navi sono pronte a partire.